IDIOZIA: La “Merce” più abbondante e dilagante, della società di massa
di Evangelos Alexandris Andreuccio (Andruzzos)
Nell’epoca digitale in cui viviamo, l’idea di “idiozia” non si limita più a un semplice difetto di intelligenza o di ragione, ma si espande a un fenomeno più complesso e inquietante: quello di un individuo alienato, manipolato dalla subcultura ei consumi, anche digitale, che vive in un universo parallelo distante dalla realtà che lo circonda, isolato, introverso. L’omicidio di Kerk, per mano di un giovane apparentemente ordinario ma definibile “perfetto idiota”, rappresenta il culmine tragico di un processo di disconnessione sociale e mentale di massa a livello mondiale. Un giovane che, in superficie, si presenta come introverso, ideologo, religioso, affascinato dalle armi, dai videogiochi e dalle ideologie radicali, ma che, dietro la maschera della normalità, nasconde un vuoto esistenziale profondo.

Questo individuo non è solo un prodotto di una cultura digitale iper-connessa, ma un esempio di come la solitudine, la ricerca di senso in spazi virtuali e la crescente distanza dalle dinamiche reali possano alimentare una mente instabile. La sua “idiozia” non è la semplice ignoranza, ma piuttosto una disconnessione radicale dalla realtà, dove la violenza diventa l’unica risposta percepita per dare senso a un’esistenza alienata. L’omicidio, dunque, non è solo un atto di follia, ma il tragico esito di un processo di disumanizzazione e di manipolazione che non possiamo più ignorare.
In questo articolo esploreremo come il fenomeno dell'”idiota” contemporaneo sia legato non solo alla mancanza di conoscenza, ma alla pericolosa commistione tra solitudine, frustrazione e influenze esterne, che portano un giovane a compiere atti estremi in un mondo che sembra aver perso ogni contatto con la realtà. Il caso di Kerk, in fondo, è solo l’ennesima dimostrazione di quanto l’idiota, in tutte le sue manifestazioni moderne, possa essere tanto distruttivo quanto manipolabile.
Il lascito della Grecia antica nel pensiero moderno: dalla filosofia al linguaggio delle scienze
La parola “idiota” è oggi utilizzata per definire una persona ignorante, incapace di comprendere la realtà e di adattarsi alle dinamiche sociali. Tuttavia, il suo significato originario affonda le radici nel pensiero degli antichi Greci, che, nel definire l’idiota, si riferivano a un individuo isolato, estraneo alla vita politica e sociale, concentrato esclusivamente su se stesso. L’idiota, per i Greci, non era soltanto colui che mancava di intelligenza, ma soprattutto di consapevolezza collettiva e di impegno verso la comunità. Un parassita sociale, privo di connessione con il destino comune.
Questa riflessione, che per alcuni potrebbe sembrare anacronistica, ci offre l’opportunità di indagare come il pensiero greco continui a permeare il nostro mondo contemporaneo, non solo nella filosofia, ma anche nelle scienze, nel linguaggio e nella struttura delle società moderne. In effetti, nonostante i secoli passati, il pensiero greco continua a influenzare profondamente le strutture sociali e scientifiche che definiamo come moderne.
La continuità del pensiero Greco nella società moderna
Il concetto di “idiota”, che nell’antica Grecia si riferiva a chi rifiutava di partecipare alla vita pubblica, rimanda direttamente alla tensione tra individuo e collettività. Gli antichi Greci, infatti, consideravano l’isolamento e l’indifferenza verso il bene comune come una minaccia alla coesione sociale. Oggi, questa visione continua a manifestarsi in diversi aspetti della nostra vita. Il sistema educativo, ad esempio, pur se profondamente evoluto, mantiene la sua matrice nella formazione dell’individuo come membro consapevole e responsabile di una comunità. La nozione di partecipazione, di interazione sociale e di responsabilità collettiva che i Greci consideravano essenziale, si riflette nei moderni concetti di cittadinanza, democrazia e interconnessione globale.
Il pensiero critico e la riflessione su temi etici e politici sono dunque i principali lasciti di quella civiltà che per prima ha posto l’uomo di fronte alla responsabilità del proprio pensiero e della propria azione. Ed è proprio questo legame tra pensiero e azione, tra teoria e pratica, che caratterizza la nostra visione del mondo moderno. La ricerca del “bene comune”, per quanto declinata in mille forme e contesti diversi, ha sempre radici nel concetto aristotelico di virtù civica e nella centralità del dialogo razionale come strumento di confronto e crescita collettiva.
La scienza e il linguaggio Greco: un ponte tra passato e futuro
Se la filosofia greca ha gettato le basi per il pensiero critico, le scienze moderne non possono prescindere dalla lingua greca. Ogni disciplina scientifica, dalla biologia alla matematica, dalla medicina alla fisica, conserva un’impronta linguistica e concettuale direttamente derivata dalla Grecia antica. I termini scientifici sono, nella maggior parte dei casi, greci o greco-latini, un segno tangibile del debito che la scienza moderna ha nei confronti di quella tradizione di indagine, curiosità e ricerca che i Greci hanno avviato millenni fa.
In ambito medico, ad esempio, molte delle parole utilizzate oggi per descrivere malattie, organi e trattamenti provengono dal greco antico, come il termine “anemia”, che significa letteralmente “senza sangue”. In fisica, la parola “energia” affonda le radici nel termine greco “energeia”, che Aristotele usò per descrivere l’attività in movimento. Persino la matematica, nel suo linguaggio universale, deve molto ai concetti geometrici e numerici sviluppati dagli antichi Greci, come quelli legati al “π” (pi greco), il numero che continua a essere fondamentale per le scienze matematiche.
Il pensiero greco è stato, e continua a essere, il fertile terreno dal quale si sono sviluppate le discipline scientifiche. E mentre il mondo scientifico moderno si evolve con l’ausilio delle moderne tecnologie, la base epistemologica e il linguaggio delle scienze non potrebbero esistere senza l’eredità greca.
La descrizione comportamentale dell’idiota nella sociologia
L’idiota, come figura antropologica e sociologica, non è solo un individuo che manifesta carenze cognitive, ma piuttosto una persona che, per scelta o per condizione, sviluppa una percezione distorta o limitata della realtà circostante. Nella sociologia, questo fenomeno è spesso esaminato attraverso l’analisi dell’isolazionismo individuale, che si traduce in un progressivo disinteresse verso il dialogo sociale e l’integrazione in un contesto comunitario più ampio.
Il comportamento dell’idiota si caratterizza per la staticità: il soggetto tende a vivere una vita imprigionata in un ciclo ripetitivo di azioni quotidiane, senza un reale slancio verso il miglioramento personale o l’evoluzione sociale. Non si confronta con le proprie idee, non mette in discussione i principi che guidano la sua vita, ma li accetta passivamente come verità immutabili, imposte dalla società. La sua visione del mondo è ridotta a stereotipi e preconcetti che non riflettono la complessità e la dinamicità della realtà sociale e culturale che lo circonda.
L’isolamento come scelta esistenziale
L’isolamento che caratterizza l’idiota non è solo il risultato di una mancata interazione sociale, ma rappresenta una vera e propria scelta esistenziale. Egli percepisce il mondo esterno in modo parziale, distorto, limitato, e questa percezione diventa il suo punto di riferimento. La sua relazione con gli altri è superficiale, priva di profondità, e si limita a una semplice osservanza estetica delle regole di convivenza che la società impone. Non c’è una ricerca di comprensione, né un coinvolgimento attivo nei processi di cambiamento sociale, culturale o economico.
L’idiota non reagisce ai segnali di cambiamento che potrebbero stimolare una riflessione sul proprio ruolo nella società, né si impegna in un processo critico che gli permetterebbe di mettersi in discussione. Resta fermo nelle sue convinzioni, aderendo passivamente a uno status quo che gli viene imposto, senza offrire alcuna critica costruttiva o proposta evolutiva. In questo modo, il suo comportamento è influenzato dall’ “establishment” dei poteri dominanti: economia, legge, e la mentalità sociale prevalente.
La mentalità dell’idiota e l’adattamento al sistema dominante
La figura dell’idiota sociologico è spesso l’esempio di un adattamento non critico al sistema dominante. L’individuo si adatta senza opporsi alle strutture di potere che regolano la vita sociale, omologandosi alle norme legislative alle dinamiche economiche, passando per la cultura del consumo e della conformità, all’apparire a volte perfino vistoso di un finto benessere, effimero, estetico, esibizionista. Non c’è una riflessione profonda su come queste forze esterne influiscano sulla propria libertà individuale e sul benessere collettivo. La sua percezione è guidata dal conformismo e dalla passività, caratteristiche che lo rendono incapace di immaginare alternative valide o di impegnarsi attivamente nel miglioramento della propria condizione.
Conclusioni: un lascito Ininterrotto
La Grecia antica non è solo un ricordo distante di un passato glorioso, ma è una fonte vivente di pensiero e conoscenza che permea ancora le fondamenta della nostra cultura. Dall’etica alla politica, dalla filosofia alla scienza, il pensiero greco ha modellato la nostra visione del mondo, e la sua influenza è visibile in ogni angolo della società moderna.
Nell’affrontare temi di giustizia, di bene comune e di partecipazione civile, ci accorgiamo che le domande che ci poniamo oggi sono le stesse che i Greci si ponevano migliaia di anni fa. E mentre il concetto di “idiota” ha acquisito nuove connotazioni, il suo significato originario di isolamento e ignoranza rimane, in modo sorprendente, ancora rilevante. In un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, la sfida di non diventare “idioti”, nel senso più profondo del termine, è quella di restare consapevoli della nostra appartenenza a una comunità, di non dimenticare il valore della storia, della cultura e dei legami sociali che ci uniscono. È questo il lascito che la Grecia antica ci ha ereditato e che ancora oggi continua a vivere e a crescere.
L’idiota non si interroga mai sul senso profondo delle sue azioni o sul loro impatto sulla collettività. Non si interroga tra causa ed effetto dei fenomeni, è capace di interpretare il vento come effetto del giramento delle pale eoliche! Si limita a seguire le regole imposte e apprese passivamente adeguandosi, senza mai metterle in discussione criticamente, o chiedersi se siano giuste oppure tentare di cambiarle. La sua esistenza, quindi, si svolge tra l’adesione ad uno “status cvo” prestabilito, una stabilità – immobilità che racchiude e limita la sua visione della vita e il suo potenziale evolutivo riducendo la persona idiota in un cadavere ambulante.
Ogni conoscenza è traduzione, costruzione e non riproduzione della realtà; siamo destinati alla fatica ermeneutica, a interpretare di continuo, il che ci condanna in modo pressoché inevitabile all’errore e all’illusione. Ma è dell’errore, più che della verità, che dovremmo tessere l’elogio: esso costringe a risvegliare l’energia mentale, è fonte di scoperta e innovazione, mentre la certezza di essere nel vero induce all’inerzia (E. Morin).
La conoscenza come bene comune (E. Ostrom). In Italia la nozione di “bene comune” è divenuta di recente di pubblico dominio, anche se perlopiù continua ad essere percepita come una sorta di sub-cultura o ancora come una rivendicazione di una minoranza – seppur determinata – di addetti ai lavori. La conoscenza come bene comune rappresenta uno dei capisaldi dei diritti fondamentali dell’uomo, e come tali da sottrarre necessariamente alle logiche del mercato o ancor peggio alle strategie delle multinazionali dei social media.
Se al Sud, in Grecia e in talia, si è assistito dagli esordi degli anni 2000 ad un impulso nella diffusione delle best practices imposte dalle Linee Guida Europee, per l’accrescimento e la diffusione dell’alfabetizzazione e della conoscenza, tuttavia la pluralità di azioni di politiche attive messe in campo (lifelong learnig, education,learnfare ecc.) registrava già dopo una decina d’anni la non completa efficienza e l’urgenza di una traduzione in pratiche realmente “commons” della cultura come “bene comune” supportate da politiche di apprendimento permanente. Sempre più evidente è la perdita di aderenza con tessuti sociali che si organizzano in varie forme ed esprimono istanze nuove, con linguaggi emergenti e sconosciuti ai quali le agenzie preposte non riescono a rappresentare vere leve attrattive, ne consegue la proliferazione di mondi chiusi a stagno e non penetrabili tra loro. La famiglia, la scuola, i gruppi prioritari di appartenenza hanno al loro interno una forte esigenza di ridecodifica e di rafforzamento del baricentro della propria identità, ma senza gli strumenti ed il supporto delle discipline, nate per questi fini, il rischio di amplificare l’illusione, di fornire risposte e comprensioni omologate e settarie è molto alto, in più rincorrendo un paradigma sempre più dogmatico come quello della velocità.
Con la metafora della testa ben fatta Morin invitava a formare menti che fossero, non tanto piene di conoscenze, quanto in grado di porre e trattare problemi globali, grazie a criteri organizzatori che tengano conto della complessità che li governa. È questo che non riesce più a fare la scuola, dalla primaria all’Università, frantumata com’è in discipline, affidata a competenze unilaterali o settoriali, cullata dalle certezze dei propri limitati campi d’indagine. La ricerca sociologica si rimette in campo, consapevole della sua dimensione accademica “resiliente”, per condividere risposte e soluzioni immediate a livello di società civile, dove può, per socializzare i suoi strumenti, e le energie mentali messe in campo contribuiranno a nuove griglie interpretative dei bisogni a tutti livelli.