Alcolismo: una piaga collettiva e la risposta della socioterapia diffusa
Da anni, osservando l’evoluzione delle società europee, mi colpisce un paradosso: l’alcolismo continua a essere trattato come un problema individuale, quasi fosse il frutto esclusivo della debolezza del singolo, mentre tutto ci dimostra che è una questione collettiva. Una dipendenza che nasce in ambienti sociali, si nutre di abitudini culturali e viene abilmente rafforzata da un’industria globale che investe miliardi per trasformare il consumo in automatismo.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: spese sanitarie crescenti, perdita di produttività, aumento dei procedimenti giudiziari, famiglie lacerate. Non si tratta solo di salute pubblica: è un problema economico e di giustizia sociale, come sottolineano da tempo le principali organizzazioni europee impegnate nella prevenzione.

La forza dell’industria contro l’individuo
Ho letto con attenzione le parole della consulente comportamentale Annemette Staal, esperta sulle dipendenze, che invita a rendere il bere una scelta consapevole e non un riflesso automatico. È un invito giusto, ma insufficiente: l’individuo da solo non basta. A opporsi alla salute pubblica non è il singolo bicchiere, ma un sistema economico potente, che influenza politiche, norme e perfino linguaggi.
Eurocare e l’Alleanza Europea per la Salute Pubblica lo denunciano apertamente: l’industria degli alcolici siede ai tavoli politici con un’influenza paragonabile a quella che il tabacco aveva decenni fa. Parlare di “uso dannoso” anziché di rischio intrinseco dell’alcol non è casuale: è un linguaggio plasmato da chi difende il profitto, non la salute. Ma come fare per rispondere a questa pandemia dilagante?
Politiche europee tra lentezze e resistenze
Nei miei viaggi e nelle ricerche ho raccolto esempi contraddittori.
In Lettonia, si è limitata di due ore la vendita di alcolici, misura simbolica ma significativa.
In Irlanda, le etichette sanitarie sul rischio di cancro sono state rinviate al 2028 per timore di ripercussioni commerciali.
Nei Paesi nordici, dove resistono i monopoli statali, si combatte per non cedere terreno alle pressioni del libero mercato.
E a Bruxelles? Il Piano europeo per la lotta contro il cancro del 2021, che prevedeva una riduzione del consumo di almeno il 10% entro il 2025, resta ancora lontano dai risultati. Manca il coraggio politico di emanciparsi dall’industria.
La prospettiva ItaloEllenica
Nell’area mediterranea, Italia e Grecia vivono una condizione particolare. La cultura del vino fa parte del tessuto identitario, della convivialità, della socialità quotidiana. Ma questa tradizione rischia di essere risucchiata dalla logica dell’eccesso: binge drinking, marketing mirato ai giovani, modelli culturali importati che alterano l’antico equilibrio tra rito e consumo moderato.
In questo quadro, non basta invocare più leggi o più tasse. Serve un approccio nuovo, capace di ridare alla comunità un ruolo attivo nella cura.
La socioterapia diffusa come strumento di cura
È qui che la sociologia moderna ha un compito urgente. Con il concetto di socioterapia diffusa, si propone una risposta concreta: affrontare il problema non solo con trattamenti medici individuali, ma attraverso una rete sociale di sostegno, educazione e trasformazione collettiva.
La socioterapia diffusa significa:
gruppi comunitari che lavorano sul recupero e la prevenzione;
iniziative culturali che ridanno senso al “ritrovarsi insieme” senza abuso;
percorsi educativi che mostrano come la dipendenza sia un fenomeno sociale prima che personale;
strumenti di solidarietà che aiutano le famiglie a non vivere la vergogna nell’isolamento.
In Grecia e in Italia, esperienze di questo tipo cominciano a emergere: dai gruppi di mutuo aiuto alle comunità terapeutiche integrate nei territori, fino a iniziative associative che trasformano la sofferenza individuale in una pratica collettiva di resilienza.
Una battaglia culturale
Il dato più incoraggiante, osservabile nei giovani europei, è che bevono meno dei loro genitori. È un segnale di cambiamento culturale che va sostenuto con politiche adeguate e, soprattutto, con iniziative sociali dal basso.
Se l’alcolismo è un problema collettivo, la cura non può che essere collettiva. La socioterapia diffusa rappresenta non solo una speranza, ma un metodo concreto per trasformare il dolore in crescita comunitaria, per ricostruire reti di fiducia e per restituire centralità alla persona nella sua appartenenza sociale.